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Me and my friend (1997)


di: Gillian Plowman

Genere: Umorismo nero
Cast: G. Harold
Dove: Los Angeles Theatre Center - Los Angeles
Quando: 1997
Sinossi-recensione: fringereport.wordpress.com

Questa produzione è un revival della sceneggiatura di Gillian Plowman, prodotta per la prima volta nel 1988 e vincitrice di un premio. Si tratta di due uomini e due donne, alloggiati in appartamenti di proprietà del comune nello stesso blocco. Sia i due uomini che le due donne sono stati danneggiati dai vari aspetti della vita e delle relazioni. Ora, appoggiandosi pesantemente ai loro rispettivi compagni di appartamento, stanno lottando per riparare le loro vite e cercare di vivere nella maniera più normale possibile. Si tratta di una battaglia impari comunque, e i loro poteri nel migliorare le loro situazioni sono pietosamente inadeguati rispetto agli ostacoli che devono superare. Il dramma si sviluppa in tre atti, il primo si svolge nell’appartamento degli uomini, il secondo in quello delle donne e nel terzo si torna nell’appartamento maschile, dove tutti i personaggi si riuniscono per una festa piuttosto strana. Lungo il percorso, ciascuna delle storie personali dei personaggi emerge, alcune durante conversazioni casuali, alcune grazie a dei flashback, segnalati da un fascio di luce blu. C'è Bunny il maniaco del lavoro, che, disperato nel cercare di migliorare se stesso, nel finale perde la testa sotto la pressione del suo stesso impegno e di una moglie fisicamente esigente. Egli condivide il suo appartamento con il confuso Oz, l'ex postino timido nei rapporti interpersonali, che finisce per gettare le sue lettere nel fiume, ma che è ancora ossessionato da pacchi. Al piano superiore, vive Robin, il cui matrimonio e la propria salute mentale sono crollati per lo sforzo di relazionarsi con un figlio esigente e un marito indifferente, e Julia, le cui imprese sessuali l'hanno lasciata con la paura di essere toccata, pur cercando tutto il tempo conforto e amore. Tutti questi personaggi sono interpretati con molto impegno e talento, mettendo bene a fuoco la forza chiave del copione di Gillian Plowman, che è semplicemente la compassione che esso genera. La natura delle lotte patetiche ed inefficaci che i suoi personaggi combattono per raggiungere la normalità, ottenendo ben poco in termini di aiuto, (anche per capire quale potrebbe essere la normalità), è crudamente e continuamente messa in luce. Lungo la strada, il copione offre più brillanti momenti di commedia di quelli che forse una descrizione del soggetto della pièce potrebbe suggerire. L’opera mantiene un buon ritmo grazie alla regia di Alan Hescott, e benché sia una produzione che dura parecchio (2 ore e 20 minuti), non sembra affatto che lo sia. Quanto quest’opera sia radicata nella Gran Bretagna della Signora Thatcher, quando il pendolo deviava dalla mutua dipendenza, verso una società in cui ci si aspettava che i cittadini si aiutassero da soli, è aperto alla discussione, ma ha ancora una risonanza significativa, anche dopo la reale era della “cura a domicilio (care in the community).” Quanto sia preciso il quadro che fornisce come rappresentazione di inadeguatezza psicologica è una domanda senza risposta. A volte sembrava un po intimo e confortevole, anche se in altri momenti era invece dolorosamente spietato nella sua rappresentazione. Ciò che è sempre seccantemente preoccupante però, ed è al centro delle tensioni in questo spettacolo, deve essere la vicinanza di una possibile crisi mentale per tutti noi, (non importa quanto 'normali' noi pensiamo di essere) e la natura di un qualsiasi "aiuto” che potremmo ricevere di conseguenza.


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