24 gennaio 2010
di: Harvey Perr
Fonte: old.stageandcinema.com
Tradotto da: Francesca
Redatto da: Marcy
Qualche volta basta solo sentire le parole per ricordarsi ancora che il teatro Americano ha avuto in Tennessee Williams il suo più vero poeta dei dannati e dei diseredati, e che la sua voce risuona ancora con perfettaq chiarezza. Nella forte lettura dell’Orpheus Descending che sta andando in scena al Theatre/Theater, certamente sentirete la sua voce.
La storia di questa commedia è affascinante perché essa non è soltanto una rilettura del mito di Orfeo ed Euridice, ma anche una rilettura della prima versione di Broadway di questa stessa commedia, quel Battle of Angels che chiuse a Boston con pessime recensioni; diciassette anni dopo, essa riemerse nella forma della commedia che conosciamo – la sua commedia più poeticamente nuda oltre a Camino Real, con cui ha tematiche in comune – ed anche se non fu affatto il grande successo in cui egli sperava, essa diventò un pomposo pezzo di cinematografia con il titolo di The Fugitive Kind, in cui due grandissimi attori di cinema – Marlon Brando e Anna Magnani – non trovarono mai una vera alchimia tra di loro e, in ogni caso, finirono per soffocare la commedia con la loro intensità. Quando poi arrivò il revival londinese con Vanessa Redgrave, la commedia ebbe finalmente ciò che le spettava. C’è una poesia con lo stesso titolo – cioè ‘Orpheus Descending’ – che William dichiarò essere la più bella all’interno della raccolta In The Winter Of Cities, e che diceva: “E devi imparare, anche tu, ciò che noi abbiamo imparato/ la passione che c’è per il disfacimento di questo mondo/ l’impulso a cadere che segue l’innalzarsi di una fontana.” Queste stesse parole si ritrovano nel discorso di Lord Byron in Camino Real, e individuano chiaramente il cuore dell’Orpheus Descending.
In una piccola città del Sud – che risulterà essere l’Inferno in cui il nostro Orfeo scende e dal quale la nostra Euridice ha disperatamente bisogno di essere salvata – arriva un vagabondo trentenne di nome Valentine Xavier, un uomo in cerca di un nuovo inizio in una vita già mezza distrutta dagli eccessi, egli cerca lavoro e lo trova nel negozio diretto da Lady Torrance, il cui marito, malato di cancro, giace al piano di sopra e batte costantemente sul pavimento per chiamare aiuto. Val indossa una giacca di pelle di serpente (“Tutti noi siamo condannati a vivere una solitaria prigionia nella nostra stessa pelle!”) e brandisce, proprio come fosse un’arma, la sua chitarra che grandi artisti di blues come Leadbelly e Bessie Smith hanno firmato. Lady Torrance, sola e con un crescente bisogno di vendicare la morte del padre – e all’oscuro del fatto che il suo marito morente è il solo responsabile per il fatto che suo padre è stato bruciato vivo – scopre lentamente che la sua sola via di fuga è nelle mani del giovane musicista vagabondo.
Dovrete essere pazienti con la commedia. Questo Val (Gale Harold) non è affatto circondato da un’aura di pericolo; sembra piuttosto un giovanotto timido. E questa Lady Torrance (Denise Crosby) non è per nulla vulnerabile, ma è invece forte e robusta sia nella carne che nel modo di agire. Solo Carol Cutrere (Claudia Mason) la bellezza sfiorita che vede in Val un’anima gemella e cerca di convincerlo a “scherzare” con lei, riesce a rendere ciò che Williams si aspetta dal personaggio. Ma abbiate pazienza. Non appena la connessione tenue ed elusiva tra Val e Lady Torrance inizia a consolidarsi, la tenerezza di Williams nei confronti di questi personaggi viene esplorata pienamente, e quando si raggiunge la bellissima e silenziosa fine del secondo atto si è, per un glorioso momento, nel Paradiso del teatro.
Ed Harold e la Crosby continuano a migliorare finchè ci ritroviamo così coinvolti nelle loro vite, così ammaliati dalla loro unione, che ci sembra di essere quasi degli intrusi che sbirciano nel loro io più segreto. Questo potrà anche essere il suo esordio alla regia teatrale, ma Lou Pepe mostra una straordinaria sensibilità nel modo in cui porta questi due attori gentilmente in vita. Se il mondo esterno non esistesse, essi sarebbero gli amanti ideali ed idealizzati. Ma ovviamente, nella visione di Williams, il mondo esterno non solo esiste, ma è un mondo indifferente a due anime che si cercano nel bisogno e nel desiderio. Non è sempre semplice, nella commedia di Williams, riconciliare l’orrore del mondo, visto spesso come grottesco e quasi farsesco, con il tragico destino dei suoi personaggi principali, e Pepe rivela la sua inesperienza registica nel modo in cui tratta i personaggi che abitano il mondo crudele; ci si aspetterebbe che non emergessero come caricature o stereotipi, ma che avessero anche vite interne. L’unica eccezione è Francesca Casale che porta una vera profondità ad una varietà di personaggi, specialmente nel ruolo dell’artista le cui rivelazioni stanno causandole cecità, e in quello dell’infermiera che può sembrare insensibile ma vede chiaramente tutto ciò che capita attorno a lei.
La produzione non può sfuggire del tutto al melodramma che conclude la commedia, ma ha comunque nel teatro lo stesso effetto che ha il risvegliarsi da un incubo. Questa potrà non essere la produzione definitiva dell’Orpheus Descending ma, dal punto di vista di qualcuno che l’ha vista in tutte le sue trasformazioni, è certamente una produzione capace di di andare al punto acutamente, e che, senza perdere il senso della realtà, cattura la ricchezza della sua poesia.