Il monito del “
non guardare indietro” è stato preannunciato durante il corso della storia, ma mai in nessun racconto la sua morale è stata più diffusa come nel tragico mito di Orfeo ed Euridice.
L’affascinante suonatore di lira Orfeo incanta l’Ade fino a permettere alla sposa deceduta Euridice di seguirlo nel ritorno alla terra dei vivi, a condizione di non girarsi per guardarla procedere dietro di sé fino a che non abbiano raggiunto la superficie.
Naturalmente, nell’ultimo momento possibile, lui vacilla,e la perde per sempre.
L’”
Orpheus Descending” (la ‘
Calata di Orfeo’), uno dei lavori d’esordio di Tennessee Williams meno conosciuti, è una riscrittura di questo classico mito greco, ambientato in una versione degli Inferi marchio di fabbrica per Williams…Il profondo Sud. Comunque, l’ultima ripresa dell’”
Orpheus”, in scena al
Theatre/Theater di Los Angeles fino al 21 febbraio, ci ricorda del perché questo dramma resti una delle opere meno popolari di Tennessee Williams.
La storia ruota intorno ad un chitarrista alla deriva, ormai con la testa a posto ma ancora oscenamente attraente, di nome Valentine Xavier (interpretato dalla star del telefilm televisivo
Queer as Folk,
Gale Harold), che arriva in una piccola merceria e presto anche pasticceria di città in cerca di una paga onesta per un lavoro rispettabile. Per la gran gioia e lo sbigottimento dei cittadini dei dintorni, Valentine e la padrona del negozio Lady Torrance, una donna con un marito morente e dal passato tragico, iniziano una relazione.
Quello che segue è tre ore (e ne avvertirete ogni secondo) di metafore alla Tennessee Williams troppo elaborate ed esagerate, espresse con accenti del Sud eccessivamente forzati e quasi indecifrabili, da parte di attori confusi in ciò che si rivela essere una notte a teatro opprimente e poco entusiasmante.
Fortunatamente per il cast, per il regista
Lou Pepe, e per il resto della squadra, la colpa principale risiede nel dramma stesso. Descritto da Williams come l’opera che fungeva da ponte emozionale tra i primi anni di carriera e il presente stato d’esistenza da drammaturgo, dev’essersi trattato di un ponte traballante, giusto per dirne una.
E i critici del tempo erano tutti dello stesso parere, cosa che pone un interrogativo: perché Pepe e la
Frantic RedHead Production hanno pensato fosse prudente riproporre questo spettacolo, innanzitutto? I personaggi sono piuttosto piatti e statici, relazioni casuali ed indiscrezioni passate sono buttate lì per lì, senza nessuna precedente previsione od ordine di importanza, e senza lasciar trapelare troppo, la rivelazione finale o “svolta”, se volete, non fa esclamare “
mamma mia!”, ma piuttosto “
e che diamine…”, dal momento che gli spettatori vanno via grattandosi il capo e chiedendosi a chi possono far appello per riavere indietro le tre ore di vita trascorse.
Non bisogna dire che lo show non abbia dei meriti. Date le limitazioni del materiale con cui dovevano lavorare, il cast e il team creativo hanno certamente compiuto un sforzo intrepido.
Gale Harold è in ogni sua parte la quintessenza del ruolo maschile principale in Tennessee Williams. Meditabondo e dalla faccia d’angelo, dolce e passionale, è la reale fonte di calore nella soffocante ambientazione sudista. Sfortunatamente l’attrice di punta
Denise Crosby nei panni di Lady Torrance appare piuttosto fuori posto vicino ad Harold.
Recitata fino in fondo come una storia d’amore tra due persone dalla grande differenza d’età, la coppia riesce ad apparire più come composta da un gigolò ed una matrona, e la loro alchimia è soltanto tiepida, il che porta l’umido mondo di Williams a diventare gelido. Sangue, sudore e lacrime, che dovrebbero arrivare ad un punto di ebollizione, tendono invece a coagulare solo in distinte e disordinate pozzanghere sul palco, mentre gli attori sguazzano tra di esse ora dopo ora dopo ora…
Nel cast secondario c’è un po’ di tutto. Veterano del palco e dello schermo, l’attore
Geoffrey Wade è perfettamente raccapricciante e minaccioso nel ruolo del sofferente ma rimarcabilmente sinistro marito di Lady. Un cattivo interpretato sia con precisione che con la giusta dose di sconsiderata malvagità.
E invece l’altra antagonista dello spettacolo, una scandalosa vagabonda che insegue Valentine (ruolo di
Claudia Mason), risulta meramente fastidiosa, o forse assolutamente irritante. Annoverata nel programma come “ragazza copertina divenuta attrice”, il titolo auto-imposto della Mason si presenta come una sorta di avvertimento o di scuse per il pubblico. Attenti: la modella prova a recitare. E tristemente, è un fattore di cui gli spettatori dovrebbero giustamente essere avvisati. Nelle vesti delle donne della cittadina, le attrici
Sheila Shaw e
Francesca Casale forniscono forse le esibizioni più calzanti dello show. Pungenti e divertenti,ci ricordano perché le attrici caratteriste siano così cruciali per uno spettacolo e perfette per quello che fanno. La loro controparte
Kelly Ebsary, non si limita a mordere la scena, ma la divora completamente.
Come menzionato prima, il regista e il team creativo hanno davvero dato il tutto per tutto.
Filmmaker indipendente e regista, Lou Pepe dipinge una versione rimarcabilmente vivida e nefasta del cadente regno dell’Ade del Sud, con un costante coro greco che sfoggia maschere di copertura e il design scenografico di
David Mauer è stupendamente intenso ed efficace.
Il concept di
Efrain Schunior di far eseguire al cast i propri effetti sonori alla maniera della radio vecchia scuola aggiunge un tocco umoristico ed ingenuo.
Ma alla fine, quello a cui la discesa dello’”
Orpheus” approda realmente è materiale al di sotto della media. Né evocativo e nemmeno particolarmente rilevante in un’ambientazione moderna, l’unica cosa che attualmente risuona nello spettacolo dall’originale mito greco è la morale di base della storia. Dobbiamo imparare le nostre lezioni, andare avanti, e non guardare indietro.
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Scritto da Amber Cassell - Tradotto da Robin - Redatto da Marcy